Cragnotti: “Il calcio ormai è un business internazionale. Sulla Lazio…”

Ieri sera nel corso della trasmissione “Cuore di Lazio” è intervenuto lo storico ex presidente biancoceleste Sergio Cragnotti. Diversi gli argomenti trattati. Di seguito le sue parole:

Nel suo libro “Un calcio al cuore” lei ha raccontato la sua verità sul processo che lo ha visto imputato, c’è altro che vorrebbe dire?

No niente, ormai sono cose passate. Quindi secondo me è meglio non ricordarle ma ricordare le cose importanti, le grandi vittorie, i grandi risultati, le grandi soddisfazioni che a quell’epoca ci ha dato la Lazio. Mi è dispiaciuto non poter continuare il progetto, però avevamo lavorato tanto e ci è dispiaciuto interromperlo improvvisamente. Ancora oggi mi è rimasto l’affetto dei tifosi che ricordano con grande nostalgia le nostre grandi vittorie però, al tempo stesso, bisogna applaudire questa Lazio sperando che continui a fare così bene ed a farci sognare ed eguagliare quello che abbiamo raggiunto nel passato”.

Nel 2000 è stato un precursore a livello economico (l’entrata in borsa, etc), adesso a 20 anni di distanza, vedendo tutti i cambiamenti avvenuti in virtù di alcuni paletti che prima non c’erano, anche della UEFA con il “Fair Play finanziario”, secondo lei avrebbe avuto la stessa libertà di manovra?

“Certamente oggi i parametri sono molto più ristretti. Questo impegna i presidenti e le società ad avere delle grosse capitalizzazioni, cioè ad investire delle grandi somme ed è per questo che stanno tramontando i presidenti nostalgici, i presidenti appassionati della maglia e legati al territorio. Oggi le società calcistiche stanno diventando delle pure finanziarie perché i valori sono cresciuti così enormemente per via di un capitale che ormai ha oltrepassato i nostri confini e vediamo che i grandi gruppi finanziari americani, cinesi ed internazionali stanno investendo nel mondo del calcio. E’ cambiata la fisionomia del calcio. Non è più un calcio di passione, del territorio, campanilistico ma è ormai un calcio basato sul business internazionale dove le coppe diventano molto più importanti del campionato.

Infatti vediamo oggi come Inter, Milan e Juventus mirino più a ottenere grossi risultati nei campionati internazionali che nel nostro campionato. Questo dimostra che è cambiata la politica finanziaria. Diciamo che il nostro tempo era un tempo ormai di ricordi perché era un tempo dove si onorava la maglia e c’era l’attaccamento sia della società e dei suoi dirigenti, sia dei giocatori alla maglia stessa. Oggi non è più questo praticamente. Oggi i giocatori sono dei professionisti dove un anno stanno da una parte un’altro anno dall’altra facendo lievitare le loro remunerazioni. E’ proprio un cambio di fisionomia e strategico del calcio. Non so dove andremo a finire. Io credo che si andrà verso un calcio internazionale con un campionato europeo, un campionato mondiale e diciamo he le seconde squadre faranno i campionati nazionali”.

Lei ha sempre parlato bene della gestione del presidente Lotito che ha una gestione familiare ma che tiene sempre al primo posto il bilancio e riesce comunque a tenere la squadra ad ottimi livelli. Forse non ancora da scudetto. Secondo lei cosa bisognerebbe fare per il salto di qualità?

Intanto dico che il presidente Lotito entrando in Champions ottiene un grande risultato, cioè la Lazio ritorna tra l’èlite del calcio internazionale, e questo è il primo passo. Poi cominceranno i dolori perché per fare la Champions bisognerà organizzare due squadre. Quando si va a giocare con il Real Madrid, il Bayern Monaco, il Liverpool, Manchester, etc. ci vogliono delle squadre agguerrite e fatte da grossi calciatori.

Quindi credo che entrare in coppa sia molto importante, però poi questo progetto per il presidente Lotito dovrà avere una continuità. Lo impegnerà molto sul fronte degli investimenti se vuole partecipare all’élite del calcio internazionale. Io penso che la Lazio abbia un buon organico però poi per andare a fare i campionati occorrono due squadre. Credo che il presidente Lotito sarà all’altezza di questo compito. Si andrà a competere a grande livelli con società ben organizzate e con grandi capitali quindi sarà un passo molto importante”.

Le piace Sarri come tipologia di allenatore?

Si senz’altro! E’ un grosso lavoratore. E’ un uomo che ha un metodo di gioco. Diciamo che è un allenatore che sa costruire anche la professionalità dei giocatori che ha a disposizione. Senza dubbio è all’altezza del suo compito e credo che, in due anni, se porta la Lazio in Coppa Campioni ha ottenuto un grande risultato. Anche se nelle coppe internazionali evidentemente siamo stati deludenti e lo ha detto anche lui: per partecipare a livelli internazionale occorre un organico molto più ampio e di qualità migliore. Se ai miei tempo lo avrei ingaggiato? Senz’altro! E’ un allenatore di grande livello, sta facendo buon cose. Anche ai nostri tempi avrebbe fatto altrettanto”.

Perché a Roma non si riesce ad avere una continuità di vittorie (scudetto etc.)?

Roma è una città che distrae moltissimo. E quindi è difficile tenere a bada i calciatori, perlomeno quelli che avevamo ai nostri tempi. Oggi sono cambiati i costumi, sono cambiate le mentalità, è cambiato un po’ tutto l’ambiente. Ormai il mondo del calcio è un mondo fatto da professionisti, cioè gente che bada a società che badano a grossi investimenti: vedi lo stadio di Calcio, vedi la quotazione etc. Io dico che Roma è una città provinciale. Oggi sta crescendo moltissimo ma vedete che difficoltà sta riscontrando per costruire lo Stadio. Noi abbiamo lottato tantissimo ai nostri tempi e ormai sono passati oltre 20 anni e ancora non si è mosso nulla“.

Quanto è andato vicino a costruire lo Stadio della Lazio?

Siamo stati vicinissimi. Ad un certo punto avevamo ottenuto anche la possibilità di avere una connessione sullo Stadio Olimpico dividendo praticamente lo stadio tra Lazio e Roma. Era quasi tutto fatto. Poi c’è stato il CONI che ha fatto cessare questo progetto. Però altre possibilità ne abbiamo avute. Difficoltà che continuano a sorgere, a crescere, non so perché. I romani non vogliono altri stadi se non l’Olimpico dove però la partita si vede malissimo. E’ qualcosa che non fa crescere questa città”.

Se si farà mai uno stadio a Roma?

Io spero di sì, come si fa altrimenti? Ormai nei tempi moderni lo stadio è diventato uno strumento importante per le società di calcio e per lo sviluppo delle stesse. Negli anni 80/90 gli inglesi già avevano questa tipologia di stadi dove vivevano dentro lo stadio, c’era il marketing che si sviluppava etc. Noi abbiamo fatto sempre tutto in ritardo per una nostra mentalità particolare”.

Lo scudetto mancato della stagione 98/99 anche lei ritiene che fu strappato in modo immeritevole?

“Li ci furono tanti avvenimenti curiosi: per es. la partita di Firenze, al partita del Milan contro la Sampdoria che durò tantissimo, il gol annullato Vieri etc. A quell’epoca c’erano grandi forze contrarie. Infatti credo che con Sensi (il presidente della Roma, ndr) abbiamo avuto la grande soddisfazione di avere riportato il calcio italiano a Roma. Perché a quell’epoca praticamente tra Lazio e Roma si occupavano i posti della Champion quindi avevamo tolto o Inter o Milan o Juventus, insomma le grandi. Quindi quello fu un grosso successo livello di mentalità di una città che fino a quel momento era vassalla alle grandi società”.

Lo Stadio Flaminio secondo lei non si può ristrutturare?

Io credo che il Flaminio è fattibile se si può fare un bacino per 30/40 mila spettatori perché fare uno Stadio per 15/20 mila è antieconomico. Il progetto noi all’epoca lo studiammo ma Rutelli non ritenne possibile sviluppare l’idea Flaminio per un contrasto con quelle che erano all’ora le infrastrutture, i vincoli che c’erano etc. Anche perché sotto il Flaminio c’è tutta un’attività sportiva del CONI che evidentemente doveva andar via, quindi c’erano parecchie cose. Però io credo che se c’è la possibilità di sviluppare il progetto Flaminio è una grande possibilità senz’altro. E’ al centro di Roma, è comodo per sviluppare tutte le politiche secondarie, marketing, ristoranti, alberghi, etc. Dipende un pò dalla tipologia di quello che è fattibile. Dovrebbe esserci uno studio sopra. Però come località senza dubbio è la migliore”.

Lei è stato un precursore del calcio moderno, per es. la cessione di Signori, dove forse aveva ragione lei. Si sente un precursore dei tempi?

“Io credo che in tante cose abbiamo anticipato i tempi. E’ per questo che forse ci vedevano male (ride, ndr), perché era difficile intendere che cose si volesse dal punto di vista strategico dell’evoluzione del calcio. Però fa piacere vedere che tutte le cose che abbiamo raccontato sono cose attuale che si sviluppano, si ingrandiscono, e portano ad un cambiamento del calcio italiano“.

Un ricordo di Sinisa Mihajlovic:

Sinisa è stato un grande professionista attaccato alla maglia. Credo che abbia potato quel cambiamento che io desideravo della Lazio provinciale, della “lazietta”. E’ stato uno dei cardini basilari per l’evoluzione, sopratutto mentale, della costruzione della nuova Lazio. Un commiato veramente doloroso per la scomparsa di Mihajlovic perché alla Lazio aveva dato tanto, tantissimo.”

Lei ha fatto entrare in borsa la Lazio, ma secondo lei oggi vale ancora la pena stare in borsa?

Io credo di sì perché è errato il pensiero dell’azionariato popolare. Nel senso che, l’azione che il cliente o il tifoso acquistava in borsa doveva rappresentare l’appartenenza alla società, non doveva rappresentare un titolo speculativo di borsa. Cioè se il titolo da 10 andava a 20 il titolo non andava venduto ma doveva praticamente essere tesoreggiato presso il tifoso, presso l’azionista. E’ questo il concetto di appartenenza. Cioè: la quotazione doveva legare il mondo del tifoso al concetto dell’amministrazione alla società, cioè dell’appartenenza al capitale della società e quindi all’appartenenza dell’evoluzione di una strategia che portava avanti nel mondo del calcio per la Lazio. Quello è il pensiero della quotazione, non era il pensiero di prendere fare un profitto sul titolo. No! Assolutamente. Perché questo era il concetto.
Se noi consideriamo che i tifosi della Lazio sono 2 milioni (senza considerare sul mondo internazionale) che cosa rappresenta avere 2 milioni di azionisti per una società calcistica? Equivale ad avere un capitale americano, cinese etc. così funzionano anche le società di calcio spagnole.

Le spagnole sono associazioni, non è che il presidente è il padrone della società. Il presidente è l’avallasta di una molteplicità di azionisti che costruiscono al società quindi versano il capitale necessario nella società per l’evoluzione della stessa. In modo che la società non dipenda da un presidente che oggi può esserci o può non esserci etc. ma dipende da una moltitudine di azionisti che seguiranno l’evoluzione della società nella soddisfazione dei risultati della società calcistica.

Per fare un esempio, all’epoca il presidente del Barcellona mi disse: “Sergio, il prossimo anno voglio vincere il campionato. Che cosa ho fatto? Ho chiamato a raccolta tutti i soci e gli ho detto: “Cari soci qui servono 100 miliardi”. Allora, essendo loro 10 milioni circa, tutti versarono la loro quota per costruire la strategia finanziaria per l’ottenimento di risultati calcistici. Questo è il concetto della quotazione. Anche in Inghilterra non è un concetto speculativo, ma un concetto di appartenenza”.

 Articolo a cura di Marco Lanari – Sportpress24.com

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