Il risarcimento danni per la lunga durata dei processi

Quesiti:

1)      In cosa consiste il diritto alla ragionevole durata del processo?

2)      In caso di processo troppo lungo, il cittadino ha diritto di chiedere ed ottenere il risarcimento dei danni?

3)      Quali sono i presupposti per ottenere il risarcimento?

La legge Pinto e le riforme

Con la ratifica della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (legge 4 agosto 1955 n. 848) è stato introdotto nell’ordinamento italiano il diritto alla ragionevole durata del processo, in forza degli impegni assunti dallo Stato in sede comunitaria.

Tale diritto è stato anche recepito espressamente a livello costituzionale tramite la previsione dell’art. 111, comma 2 secondo cui: “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata“.

In seguito, per allinearsi alle disposizioni comunitarie e costituzionali, il legislatore è intervenuto con la Legge 89/2001c.d. Legge Pinto, che ha introdotto un procedimento nazionale per salvaguardare il cittadino dall’irragionevole durata dei processi senza dover ricorrere agli organi della Giustizia Europea.

La disciplina dell’equa riparazione prevista dalla Legge Pinto è stata modificata ed integrata con il c.d. decreto Crescitalia (d.l. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134) al fine di eliminare incertezze e contrasti interpretativi sorti nel corso degli anni e per rendere i giudizi più celeri, limitandone i costi ed alcuni rigidi automatismi.

La nuova disciplina si applica ai ricorsi depositati a decorrere dalla data dell’11 settembre 2012.

Nel 2016 sono intervenute poi delle modifiche che hanno riguardato l’ambito di applicazione della legge Pinto.

Si è infatti ritenuto che  essa può applicarsi, a pena di inammissibilità della domanda, solo dopo aver esperito i cd. “rimedi preventivi”.

Tali rimedi sono differenti a seconda della tipologia di processo che si contesta.

In particolare, nel processo civile il rimedio preventivo è rappresentato dalla proposizione del giudizio con rito sommario o dalla richiesta di passaggio dal rito ordinario al rito sommario fatta entro l’udienza di trattazione e, in ogni caso, almeno sei mesi prima che siano trascorsi i tre anni del primo grado di giudizio.

Quando il processo si considera eccessivamente lungo

Le legge prevede dei parametri fissi che identificano l’eccessiva durata del processo civile, penale, amministrativo o tributario.

Si ritiene che il termine ragionevole sia violato quando il processo eccede la durata di 3 anni in primo grado, di due anni in secondo grado e di un anno nel giudizio innanzi la Suprema Corte di Cassazione.

Per il processo di esecuzione forzata e per la procedura concorsuale, i termini di ragionevole durata sono rispettivamente di tre e sei anni.

In deroga ai parametri richiamati, si considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni.

Il calcolo dei termini

In ambito civile i termini si computano a partire dal deposito del ricorso introduttivo del giudizio ovvero con la notificazione dell’atto di citazione; nel penale, invece, i termini si computano dall’assunzione della qualità di imputato, di parte civile o di responsabile civile, oppure dalla legale conoscenza dell’indagato della chiusura delle indagini preliminari.

Si escludono  dal computo dei termini circa l’irragionevole durata dei processi, i ritardi dovuti ai rinvii che il difensore richiede per aver aderito all’astensione delle udienze, trattandosi di una scelta non imputabile all’organizzazione giudiziaria e quindi da addebitare alla parte rappresentata.

Il procedimento: termini e condizioni

La normativa attuale prevede un diritto all’equa riparazione spettante a chiunque abbia subito un danno patrimoniale o non patrimoniale a causa dell’eccessiva durata del processo.

Mentre il danno economico direttamente scaturente dal ritardo processuale andrà provato nella sua esistenza e nel suo ammontare, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con sentenza n. 1338/2004, ha stabilito che per i danni non patrimoniali vi è una presunzione di esistenza, quindi un’inversione probatoria per cui spetterà a parte convenuta a doverne provare l’insussistenza.

Il ricorso deve essere proposto a pena di decadenza entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva.

Al fine di garantire terzietà e indipendenza del giudice, la domanda di equa riparazione si propone alla Corte d’Appello di diverso distretto rispetto a quello di appartenenza del giudice che abbia violato la ragionevole durata: il giudice competente è identificato da un’apposita tabella predisposta dalla legge.

In tali giudizi le parti convenute saranno il Ministro della giustizia quando si tratta di procedimenti del giudice ordinario, il Ministro della difesa quando si tratta di procedimenti del giudice militare e, negli altri casi, il Ministro dell’economia e delle finanze.

Esiti del giudizio

Se il ricorso viene accolto, la Corte d’Appello ingiunge all’amministrazione convenuta il pagamento senza dilazione di una somma liquidata quale equa riparazione, autorizzando in mancanza la provvisoria esecuzione e liquidando nel decreto anche le spese del procedimento di cui ingiunge il pagamento.

Il ricorso, unitamente al decreto che accoglie la domanda di equa riparazione, è notificato per copia autentica al soggetto nei cui confronti la domanda è proposta, altrimenti diviene inefficace se la notificazione non sia eseguita entro trenta giorni dal deposito in cancelleria del provvedimento e la domanda di equa riparazione non può essere più proposta.

Se il ricorso è in tutto o in parte respinto la domanda non può essere riproposta, ma la parte può fare opposizione.

Calcolo dell’indennizzo “per equa riparazione”

L’art. 2 bis della Legge Pinto stabilisce che la somma liquidata dal Giudice a titolo di equa riparazione deve corrispondere ad una somma di denaro non inferiore ad euro 400,00 e non superiore a 800,00 euro, per ogni anno del processo che ne ha ecceduto la durata “ massima”.

L’indennizzo viene determinato a norma dell’art. 2056 c.c., tenendo conto dell’esito del processo nel quale si è verificata la violazione di durata, del comportamento del giudice e delle parti, della natura degli interessi coinvolti e del valore e della rilevanza della causa, valutati anche in relazione alle condizioni personali della parte.

Casi di mancato riconosciuto di indennizzo

Non viene riconosciuto alcun indennizzo: – in favore della parte soccombente condannata per responsabilità aggravata (ex art. 96 c.p.c.); – per la parte che abbia rifiutato senza giustificato motivo la proposta conciliativa del giudice (ex art. 91, primo comma, secondo periodo, c.p.c.) o quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta; – nel caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione connessa a condotte dilatorie della parte; – quando l’imputato non ha depositato istanza di accelerazione del processo penale nei trenta giorni successivi al superamento dei termini cui all’articolo 2-bis; – in ogni altro caso di abuso dei poteri processuali che abbia determinato una ingiustificata dilazione dei tempi del procedimento.

Conclusione

Il cittadino, quindi, in tutti i casi in cui ha subìto un danno da lungaggine processuale, ovvero di giudizi che hanno superato la durata sopra indicata, entro 6 mesi  dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva, potrà rivolgersi ad un avvocato al fine di ottenere il relativo risarcimento.

Per consultare gli altri articoli della rubrica vai sul seguente link:  il parere dell’avvocato

Articolo a cura dell’Avvocato Stefania Nicoletta Costanzo – Sportpress24.com –

 

Avv. Stefania Nicoletta COSTANZO - Cassazionista
Avv. Stefania Nicoletta COSTANZO Cassazionista

Stefania Nicoletta Costanzo, avvocato Cassazionista del foro di Roma, iscritta all’ Albo degli Avvocati dal 2001 e all’Albo speciale degli avvocati Cassazionisti dal 2014. Lo studio si trova in Roma – via Cicerone 49, tel 06/3213357, mail: avvstefaniacostanzo@libero.it.

L’avvocato esercita la professione da oltre di 20 anni con specializzazione in diritto civile:

Responsabilità Civile – Risarcimento del Danno – Diritto delle Assicurazioni e infortunistica stradale; Responsabilità Professionale medica, di notai, avvocati, agenti immobiliari, ingegneri etc..; Responsabilità da fatto illecito. Si occupa, altresì, di contrattualistica, recupero credito, esecuzioni, controversie di natura condominiale, diritti reali, diritto di famiglia, controversie tra utenti ed operatori telefonici. Inoltre fornisce assistenza sia nella fase stragiudiziale, che giudiziale.

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