ATP Amburgo e Geneva, trionfano Cobolli e Djokovic: vince il doppio Azzurro

Cobolli trionfa ad Amburgo, a Ginevra Djokovic vince il 100esimo titolo

La ricetta per vincere il suo primo 500 l’aveva scritta ieri sulla telecamera, dopo aver battuto Etcheverry: “Artigli e cuore”. Flavio Cobolli azzanna un altro titolo, il secondo in carriera: conquista Amburgo superando Andrey Rublev nella finalissima sul rosso, il colore che gli ha dato il primo alloro a livello Atp (un mese e mezzo fa, a Bucarest) e su cui continua a pattinare con invidiabile sicurezza. Finisce 6-2 6-4 in un’ora e mezzo, è una finale anima e cuore quella giocata dall’azzurro che lunedì mattina, al momento di preparare il debutto al Roland Garros, si sveglierà al numero 26 del mondo. Un nuovo ritocchino al best ranking per tentare di regalarsi ulteriori soddisfazioni a Parigi. Rublev, invece, fallisce l’appuntamento col secondo titolo stagionale dopo quello di Doha.

PRIMO SET

Parte fortissimo l’azzurro che approfitta degli sprechi dell’avversario e confeziona un clamoroso break al primo game, grazie a un doppio fallo di Rublev. Il russo si innervosisce immediatamente: cestina in corridoio un rovescio e poi scaglia la racchetta a terra, mentre Cobolli continua a martellare (approfittando anche di un nastro fortunoso) e mette a segno un altro break, salendo 3-0. Al cambio campo Rublev si prende a racchettate un ginocchio procurandosi un taglio vistoso.

L’autolesionismo funziona a metà: stavolta a steccare col rovescio è Cobolli, con il russo che lo lascia 15-40 e recupera uno dei due break, ricucendo sul 2-4. Ma Flavio rialza subito il volume: favoloso rovescio lungolinea, poi lo schiaffo al volo con cui crea nuovi problemi al servizio dell’avversario. E si riporta avanti di due break. L’azzurro serve per il set, cancella l’idea del controbreak con una potente prima e archivia il primo parziale: 6-2 in mezzora esatta.

SECONDO SET

Più morbido l’avvio di secondo set. Rublev, dopo un’inevitabile visita allo spogliatoio durante l’intervallo, guadagna precisione nello scambio ed evita un’altra partenza scioccante, rimanendo on serve sul 2-1. Flavio non fa una grinza e anzi, vince uno scambio da urlo remando col dritto prima di incastrare il russo con un gran recupero in backspin.

Il game più spettacolare è il sesto, con Flavio al servizio: Rublev costruisce tre palle break, mandandone una fuori di un’unghia. L’azzurro trascina la situazione ai vantaggi e vince lo scambio più bello della partita: prima difende con l’elmetto, poi si riavvicina a rete e chiude col vincente. Il game sfiora i 20 punti, Cobolli urla un “Vamos!” ai cattivi pensieri e fa 3-3. Una volta sguainati gli artigli, è uno spreco tirarli indietro: l’azzurro intuisce la propria superiorità quando il punto diventa una maratona e costruisce il break, proteggendolo al servizio successivo per salire 5-3.

Certo, di game facili non ne esistono più: quando si tratta di servire per il match Cobolli concede due palle break, ma le annulla ancora, portando il conto totale a 6. E poi cuce un altro lungolinea da favola: Rublev si arrende, Flavio si tuffa sulla terra rossa tedesca e scatena la festa. È il quarto italiano nell’era Open a riuscirci, dopo Bertolucci, Fognini e, nel 2022, Lorenzo Musetti. Amburgo ci porta benissimo.

BOLELLI E VAVASSORI SUPER

La mattinata ad Amburgo si è tinta d’azzurro grazie al trionfo nel doppio di Simone Bolelli e Andrea Vavassori. La miglior iniezione di fiducia possibile in vista del Roland Garros (dove debutteranno contro Herbert e Mahut) è arrivata nella perfetta settimana di Amburgo: quattro vittorie sul velluto. Impeccabile anche la prestazione in finale: 6-4 6-0 alla coppia Molteni-Romboli per recuperare punti e morale in vista di Parigi. L’anno scorso Bolelli e Vavassori hanno chiuso il Roland Garros con un’amara sconfitta in finale: ora c’è voglia di riscatto.

100 Nole! Ai tempi del primo titolo la Juve era in B, Sinner e Alcaraz all’asilo

La Juventus sprofondava in Serie B. L’Italia del calcio era campione del mondo da un paio di settimane. Sinner, a cinque anni, entusiasmava sugli sci. Carlos Alcaraz, a tre anni, si limitava ad osservare il mito Rafa Nadal alla televisione, mentre a partire dall’anno successivo lo avrebbe imitato. Jakub Mensik, che a Miami ha sorpreso Djokovic impedendogli che il centesimo trofeo arrivasse già a marzo, aveva fatto check-in alle soglie di questo mondo da nove mesi. E Nole… veniva da un altro Paese. Quando il serbo ha vinto il suo primo titolo Atp era un altro mondo. Letteralmente.

In quel 2006 la testa di serie numero 1 ad Amersfoort è Guillermo Coria, battuto in semifinale da Nole che si presenta a quel torneo da numero 36 del mondo. Sulla poltrona più lussuosa del ranking salirà nel 2011, cinque anni dopo il primo alloro Atp. Il Djokovic primo modello, a osservarlo oggi, genera ammirazione e allo stesso tempo sinistre rughe agli angoli del viso.

Fa specie pensare che il suo primo titolo in un Masters 1000 (l’aria d’apertura di un’opera in 40 atti) sia arrivato nell’ultima finale giocata al meglio dei cinque set. Più di diciotto anni fa, peraltro. Era il primo aprile, giorno proverbialmente dedicato agli scherzi: Nole ne gioca uno pesantuccio all’argentino Guillermo Canas superandolo con un perentorio 6-3 6-2 6-4 nella finale di Miami.

Il calendario non se l’è sentita di mancargli di rispetto, e allora ecco che la centesima gioia del Djoker è giunta proprio nella settimana del compleanno: a Ginevra, dopo aver battuto Arnaldi, ha spento 38 candeline in campo, per festeggiare ricorrenza e vittoria. Il binomio perfetto.

La profezia di Volandri

Se poi ci divertiamo a riavvolgere ulteriormente il nastro, ecco il primo match nel circuito Atp del serbo: luglio 2004, ancora terra rossa. Ad Umago, dove incontra Filippo Volandri, va ko al primo turno: 7-6 6-1 e un commento dell’attuale capitano azzurro di Coppa Davis a fine match: “Occhio a quel serbo, è davvero forte”.

Oltre vent’anni fa: per capirsi, Jakub Mensik non era ancora nato e al numero 1 nel ranking era salito da qualche mese Roger Federer, dopo il breve interregno di Roddick. Dal rosso al rosso, il centesimo titolo non poteva che arrivare sulla stessa superficie del primo trionfo: da Amersfoort a Ginevra, Novak Djokovic è diventato in un ventennio il cosmopolita del tennis. Ha attraversato non una, non due, ma addirittura tre generazioni, trasformandosi nel grande rivale dei campioni di ieri (Federer e Nadal su tutti, ma anche il suo ex coach, Andy Murray), di oggi (Sinner e Alcaraz) e persino di domani (Mensik, Fonseca e chissà chi altro). Immortale.

Articolo a cura di Michela Catena – Sportpress24.com

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