La “rescissione” del contratto nel calciomercato: emblema di “ignoranza palesata”…

Da ormai 24 ore è ufficialmente iniziata ufficialmente la sessione invernale di calciomercato per i club di Serie A 2024/2025. La durata prevista è dal 2 Gennaio al 3 Febbraio 2025. In questi giorni diverse squadre di Serie A cercano di polvere le lacune d’organico o aggiustare il disastro fatto con il mercato estivo. Come in tutte le sessioni di calciomercato però torna ad echeggiare l’uso errato del  concetto di “rescissione del contratto“.

Perché è sbagliato parlare di “rescissione” del contratto?

La rescissione del contratto è uno strumento giuridico previsto e disciplinato dal codice civile (artt. 1447 – 1452). La circostanza per cui prevista la possibilità di ricorrere questa forma di scioglimento di un contratto è l’aver stipulato un contratto a condizioni palesemente inique approfittando di:

  1. uno stato di pericolo
  2. o di bisogno

Quindi la parte che si trova in stato di necessità, nota alla controparte, di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona finisce per stipulare un contratto che altrimenti non avrebbe mai fatto. Il classico esempio (giusto per far capire il concetto) fatto nelle aule di facoltà di giurisprudenza è quello dell’uomo che chiede aiuto ad un passante perché sta per precipitare da un precipizio ed il passante accetta di salvarlo ma a condizione che gli venga venduta la villa alle Maldive per 10 euro.

Ora, la domanda sorge spontanea: lo strumento della “rescissione” rientra nelle fattispecie che quotidianamente viviamo in ambito calcistico? Decisamente no! La rescissione infatti, viene troppo spesso confusa con la “Risoluzione del contratto”. Entrambe svolgono sì la funzione di sciogliere anticipatamente un contratto sinallagmatico (cioè a prestazioni corrispettive) ma l’ambito di applicazione è totalmente diverso. Quello che comunemente avviene nella vita di tutti i giorni (e nel caso specifico durante il calciomercato) è – appunto – la risoluzione del contratto. Tale strumento si ha quando una delle due parti (risoluzione unilaterale, di solito perché c’è una clausola risolutiva espressa che lo consente oppure perché c’è stata inadempienza della controparte) o entrambe le parti di comune accordo (risoluzione consensuale) decidono di sciogliere prematuramente il contratto stipulato.

La risoluzione si riferisce alla cessazione di un contratto a causa dell’inadempimento di una delle parti o per il verificarsi di un evento che rende impossibile l’adempimento del contratto stesso. La risoluzione libera le parti dagli obblighi futuri ma non annulla gli effetti del contratto retroattivamente. Certo ovviamente in ambito calcistico entrano in gioco anche altri fattori come il diritto del lavoro ma il fulcro rimane lo stesso. Ossia: è sbagliato parlare di rescissione del contratto quando finisce il rapporto di lavoro tra un calciatore ed una squadra di calcio.

Perché parlare di “rescissione del contratto” è un’emblema di “ignoranza palesata”?

Ora, è vero che non tutti hanno una laurea in giurisprudenza e quindi tale tecnicismo può sfuggire a molti. Tuttavia, è anche vero che: quando si vogliono usare termini elevati e tecnici per alzare il livello di un articolo è importante – più che ostentare – accertarsi di quello di cui si sta scrivendo. Insomma è importante informarsi prima. Così si fa corretta (e sana) informazione. Altrimenti si crea un circolo vizioso – la c.d. “ignoranza palesata” – che nessuno correggerà mai. Perché, giustamente, chi legge pensa che a sua volta chi scrive padroneggi ciò che ha scritto e inevitabilmente lo fa suo.

Articolo a cura di Marco Lanari – Sportpress24.com

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